Ho partecipato a una gara letteraria nella quale si doveva presentare un racconto con un massimo di 20’000 battute (spazi inclusi) che, al contrario di molte storie a lieto fine, fosse con un finale triste.
Difficile per me che sono di natura ottimista, ma ho voluto provarci lo stesso e oggi finalmente vi posso svelare il mio racconto.
Come avete già potuto intuire dal titolo e dall’immagine, il titolo del mio racconto è:
Il dipinto
Il pennello lasciava sulla tela ombre e sfumature mentre la mano esperta di Giosuè proseguiva nella creazione di un altro dipinto. Era concentratissimo tanto da non accorgersi della presenza di Matilde alle sue spalle. Quando la vena artistica s’impossessava di lui niente riusciva a distoglierlo, era capace di rimanere ore e ore davanti al cavalletto a mescolare colori cercando la gradazione perfetta per rendere il suo quadro unico e inimitabile.
Da quando era bambino aveva iniziato a usare il pennello. Acquarelli prima, tempere dopo, per terminare infine con i colori a olio, quelli che lo soddisfano maggiormente. La madre era così orgogliosa del talento del figlio, talento che aveva ereditato da lei e dal nonno materno, che spesso si trovava a discutere per ore con Domenico, il padre, che premeva perché il ragazzo intraprendesse la carriera di famiglia. Ma Giosuè non era intenzionato a diventare notaio, a lui tutte quelle noiose scartoffie non davano nessun brivido, di certo non lo stesso che sentiva scorrergli dentro le vene ogni qualvolta apponeva la sua sigla alla fine dell’opera.
Matilde fin da quando Giosuè era bambino, organizzava per lui mostre cercando di far conoscere a più persone possibili il talento dell’unico figlio. Le sue amiche la prendevano amorevolmente in giro per le ingenti spese che sosteneva ogni volta e Domenico era arrivato al punto di porle un limite.
Per lei mai era abbastanza.
La prima mostra di Giosuè si tenne in una galleria accanto alla biblioteca comunale e alla scuola quando lui aveva solo dieci anni.
Era il primo bambino a esporre i suo i lavori. In quell’occasione Matilde aveva invitato tutti i genitori e compagni di classe di Giosuè, la preside e alcune insegnanti sperando che gli stessi fossero in grado di comprendere il grande talento del figlio. Purtroppo, non era consuetudine nella loro città andare a mostre di pittura e la delusione per l’affluenza, solo la maestra di Giosuè, la preside con il marito e un paio di genitori si erano presentati, era stata grande. Non tanto per il bambino, quanto per la madre che era assolutamente convinta che tutti fossero pronti ad ammirare un artista in erba sconosciuto quale il suo ragazzo.
Matilde non si perse d’animo, per lei era ormai una missione, voleva a tutti i costi riuscire a divulgare le pennellate del figlio.
«Quale genitore è in grado di non amare i disegni del proprio pargolo?» le chiese Domenico durante l’ennesima discussione? «Siamo tutti bravi a tessere le lodi dei nostri figli, ma non possiamo pretendere che anche gli altri la pensino come noi. Giosuè dovrebbe comportarsi da bambino come tutti quelli della sua età, correre nei prati, divertirsi, sbucciarsi le ginocchia. E tu come madre dovresti fare in modo che faccia queste cose, perché la fanciullezza non tornerà più». Domenico non riusciva proprio a comprendere il motivo per cui Matilde insisteva a tutti i costi a organizzare quelle riunioni con gente che, se si presentava, lo faceva soltanto perché veniva offerto loro da bere e da mangiare, non perché realmente interessati a quello che un bimbo di dieci o dodici anni metteva su tela.
«Ma cosa dici? Hai mai guardato attentamente quello che TUO figlio dipinge? Ti sei mai spinto oltre la tua ottusità per cercar di catturare la bellezza che Giosuè nasconde tra una pennellata e un’altra? La passione che con ogni sferzata di colore imprime sulla tela?»
Matilde continuava a insistere perché ne era certa, suo figlio era dotato di un talento speciale e non poteva e non doveva andare sprecato.
E così anno dopo anno continuava a organizzare eventi e mostre per le opere del suo pargolo che venivano poi custodite in maniera maniacale nella rimessa che aveva fatto restaurare e sistemare in modo che la temperatura, l’umidità e la polvere non rovinassero quelle che per lei erano opere di grandissimo valore.
La mano di Giosuè proseguì imperterrita a dipingere quel paesaggio che era soltanto dentro la sua mente. Non la copia di una fotografia o l’osservazione di un preciso punto sulla faccia della terra, ma solo ed esclusivamente qualcosa che era dentro di lui o nella sua fantasia, come i ritratti che aveva fatto qualche tempo prima. Ne ha dipinti almeno cinque ma si tratta sempre della medesima persona, una ragazzina che man mano che il tempo passa, cresce e diventava sempre più affascinante, più matura, più donna. Se Matilde non fosse certa che Giosuè non abbia mai avuto nessuna modella, potrebbe benissimo pensare che quella donna venga a fargli visita per posare per quei ritratti senza farsi vedere da lei.
Matilde ha osservato spesso quei ritratti e cercato di capire se dietro di essi si nascondesse la donna di cui il figlio si è innamorato, ma tra le sue conoscenze nessuna le assomiglia e lui ogni volta che la trova intenta ad osservare quei ritratti, s’innervosisce e se prova a fare qualche domanda Giosuè le elude.
Il profumo di Matilde gli giunge alle narici e pian piano, nonostante sia molto concentrato, gli rivela la sua presenza.
Si volta di scatto con il pennello nella mano sinistra e la tavolozza nella destra.
Ebbene sì, Giosuè è un pittore mancino come Picasso e prima ancora Michelangelo.
«Cosa ne pensi?» Le chiede indicando la tela. Matilde socchiudendo gli occhi per mettere bene a fuoco osserva il dipinto al quale non manca davvero molto per essere terminato.
«Non so cosa dire. Lo trovo stupendo!» Il sorriso compiaciuto di Giosuè illumina la stanza.
«Sono lieto che ti piaccia, devo solo fare qualche piccolo ritocco e poi potremo aggiungerlo agli altri».
«Magnifico! Questa sarà una grande mostra, la più grande alla quale tu abbia mai partecipato, tutto sarà perfetto, ho già ricevuto quasi tutte le risposte agli inviti e sono tutte positive. Sono certa che sarà un successo, molto più grande di quella dello scorso anno».
«Beh, lo scorso anno abbiamo venduto circa il 60% delle mie opere esposte, non possiamo lamentarci».
«No, certo che no! Ma il mio obbiettivo è quello di venderle tutte e far sì che qualcuno brami per averne una, che facciano a gara per accaparrarsi un’opera del grande Giosuè Milani».
Matilde fa un giro su sé stessa prima di abbracciare il figlio.
«Dimmi tesoro, tu sei felice della tua vita?»
«Certo mamma. Come non potrei essere felice quando quello che faccio è mettere su tela i miei pensieri? Se fossi stato bravo a scrivere probabilmente avrei già scritto i miei pensieri in una decina di romanzi, forse di più… non so, non ho idea di quanto tempo occorra per scriverne uno, di certo molto di più che dipingere una tela. Ma questo è il talento che mi è stato donato e questo mi rende felice e orgoglioso».
«Sai, a volte penso che forse ti ho condizionato troppo» Matilde ripensa spesso alle parole di Domenico, a quando l’accusava di essere troppo pressante, di non lasciare a Giosuè spazio a sufficienza per fare altro, per divertirsi come tutti i bambini e ragazzi della sua età mentre i genitori dei suoi compagni di scuola andavano a vedere i figli giocare a pallone, a basket o a praticare qualche altro sport, mentre lui era ed è sempre solitario, e già in giovane età, girovagava per mostre e per musei sempre con la madre al suo fianco. Scrutava nei minimi dettagli le opere dei grandi pittori cercando di carpirne la tecnica. Leggeva libri di pittura, appendeva nella sua stanza copie di dipinti famosi mentre i suoi coetanei avevano i poster dei cantanti, delle attrici o degli idoli sportivi del momento.
«Ma cosa dici mamma! Tu non mi hai condizionato affatto, io ho sempre amato i colori, le immagini che riuscivo a esprimere su carta e poi su tela, spesso le parole per descrivere luoghi o persone non riesco a metterle insieme, mi si aggrovigliano nella testa, mentre sono perfettamente in grado di disegnarle. Tu hai solo contribuito a far si che io riesca ad esprimere me stesso nella migliore delle maniere. Non sarei mai stato un campione sportivo, con i bambini della mia età non mi divertivo e il lavoro di papà e del nonno prima di lui mi annoia a morte. Non farti nessuno scrupolo io sono felice della mia vita».
«Sì tesoro, lo comprendo ma…» risponde Matilde facendogli una carezza sul volto che porta i segni del suo lavoro con qualche schizzo di colore.
«Nessun ma… nessun pentimento, recriminazione o paura di avermi tolto qualcosa» conferma serio passandole anche lui la mano sporca di colori sul volto. Lei con le dita sfiora la pelle che lui ha appena accarezzato «tranquilla, il colore sulle mie mani è asciutto, non ti ho macchiata».
La testa di Matilde si scuote appena e un sorriso le appare sulle labbra.
«Se anche mi avessi macchiata non sarebbe stato un problema. Il calore della tua mano sulla mia pelle, ho cercato di trattenere quello». Restano un attimo in silenzio poi Matilde non può farne a meno, sono ormai anni che si pone la stessa domanda.
«Giosuè, chi è quella bellissima donna che continui a dipingere?» Mentre lei lo interroga il volto di Giosuè cambia espressione come tutte le volte che lei ha tentato di porre lo stesso quesito, ma questa volta non vuole demordere. Suo figlio ha trent’anni è sempre in sua compagnia e di pochissime altre persone e non l’ha mai visto in compagnia di una ragazza. Non le importerebbe se i suoi gusti fossero differenti, lui resterebbe sempre il suo amato figlio, ma desidera per lui di più. Desidera che non resti mai solo ben sapendo che lei stessa non è eterna e prima o poi…
«Chi è? Qualcuna che conosci?»
Giosuè continua a non rispondere e a fissare fuori dalla finestra.
«Tesoro, se quella donna è colei che ami, forse dovresti…»
«Mamma, so cosa vuoi dire. Colette Duphine. Questo è il suo nome. L’ho conosciuta tanto tempo fa, una delle poche ragazze che si sono presentate alla mostra dei miei quindici anni. Era una ragazzina dolcissima. Abbiamo scambiato quattro parole, mi ha raccontato che il padre è un militare e che spesso sono costretti a spostarsi».
Matilde lo osserva mentre parla, cerca di spremere le meningi per tornare indietro di quindici anni, ma niente. Allora osa chiedere ancora.
«L’hai conosciuta quindici anni fa, come fai a sapere che aspetto ha adesso?» Prosegue nel tentativo di capirne di più additando l’ultimo ritratto «vi siete incontrati ancora?»
«Lo so perché lei è sempre nei miei sogni e perché per quanto io rifugga i social, sono riuscito a trovarla e a chiedere la sua amicizia» rivela.
Matilde è sconcertata. Suo figlio innamorato di una donna che ha visto solo in fotografia.
«Ci siamo incontrati una volta. Cinque anni fa» svela «ma lei era fidanzata. Abita a cinque chilometri da qua. Stava per sposarsi e io… beh, cosa potevo fare? Così abbiamo mantenuto l’amicizia, ci salutiamo di tanto in tanto, chiacchieriamo spesso ma non ci siamo più incontrati. Le ho raccontato dei ritratti, glieli ho anche mostrati e lei ne è entusiasta».
«Sono bellissimi e sembra che lei parli» commenta e poi «domani viene il fotografo per immortalare alcuni dei tuoi lavori, fossi in te farei inserire nel catalogo della nuova mostra anche uno di questi ritratti».
«Non so, non vorrei che Colette disapprovasse» lui è dubbioso.
«E perché dovrebbe? Hai forse ricopiato una sua foto?»
«No! Non mi sarei mai permesso. Quelle espressioni, quelle pose, quei sorrisi, sono tutti frutto della mia fantasia, dei miei sogni. In questi ritratti è come io la vedo».
«E allora che male ci sarebbe? Chi potrebbe mai riconoscerla?»
«Non so, mi sembrerebbe di farle un torto».
«Tu sei innamorato di una donna che non potrà mai essere tua. Forse avresti bisogno di incontrare altre ragazze» prova a dire a suo figlio. Ma lui scuote il capo.
«L’amore non si comanda, così come il talento. Sono cose che non puoi dirigere. Il cuore decide a chi donarsi senza che nessuno e niente possa condizionarlo. Il talento se lo hai insito in te puoi migliorarlo questo sì, ma non potrai mai andare a cercarlo e farlo tuo con la forza».
Questo argomento sconvolge Matilde, vorrebbe poter fare qualcosa per il suo figliolo, ma cosa?
Quella stessa sera Giosuè si connette al social dove ha ritrovato Colette e prova a mandarle un messaggio in privato.
«Ciao, come va?» scrive e attende con la speranza che lei possa conversare. Non sempre le è possibile perché nonostante le loro conversazioni siano assolutamente amichevoli e vertano su argomenti del tutto innocui, il marito di Colette è sempre molto sospettoso.
Inutile restare a fissare lo schermo in attesa di una risposta, in caso positivo il suo smartphone lo avviserà. Riprende in mano il libro che aveva iniziato a leggere il giorno prima e si stende sul letto.
Pochi istanti dopo il bip della notifica glielo fa riporre accanto.
«Ciao, io bene e tu? Hai dipinto molto oggi?»
«Ho terminato un quadro per la mostra».
«Un altro paesaggio oppure…»
«Questa volta un’isola. Quella dove mi piacerebbe poter vivere» stava per scrivere con te, ma si ferma in tempo.
«Sarà sicuramente un luogo splendido. E dimmi hai fatto altri miei ritratti a memoria? L’ultimo che hai fatto vedere mi rendeva così bella».
«Ma tu sei bella, io non ti ho reso diversa da come sei». Colette inserisce nella chat alcune emoticon ridenti e una imbarazzata prima di scrivere il suo pensiero.
«Sei molto gentile, ma io credo che tu mi stia adulando. Non mi vedo così bella quando mi specchio e poi sono anni che non ci vediamo».
«Dovremmo rimediare allora, potresti venire alla mia mostra» azzarda.
«Mi piacerebbe tanto, ma mio marito non ama la pittura».
«Allora potresti venire nel mio atelier e avere un’anteprima».
Subito dopo aver inviato si pente di averla invitata, certo sarebbe felicissimo se lei accettasse, ma… forse si è spinto un po’ troppo in là, ha esagerato. Si era ripromesso di non invitarla mai per non crearle problemi.
Colette non risponde, vede il suo stato “online” ma sono passati già alcuni minuti e lei non scrive.
«Mi auguro di non aver creato qualche problema» pensa e continua a fissare lo schermo in attesa.
Finalmente dopo attimi di panico “sta scrivendo” compare nella chat.
«Mi piacerebbe se fosse possibile. Avrei un pomeriggio a disposizione dopodomani se per te va bene». Rilegge almeno cinque volte il messaggio prima di rispondere tanto che Colette inizia ancora a scrivere.
«Se non è possibile va bene ugualmente».
«No, no! È perfetto! Non credevo che avresti accettato e ho dovuto darmi un pizzicotto per essere sicuro che non stavo sognando». Almeno cinque faccine ridenti compaiono nella chat e Giosuè risponde con una compiaciuta, le ripete ancora una volta l’indirizzo ma lei lo assicura che non lo aveva dimenticato affatto e poco dopo si salutano.
Il fotografo irrompe in compagnia di Matilde nell’atelier. Giosuè appena li vede si eclissa. Non ha voglia di osservare il lavoro dell’uomo, sua madre è perfettamente in grado di stargli dietro e lui si rifugia in biblioteca in cerca di tranquillità.
Domani Colette verrà a fargli visita, non ha detto nulla a Matilde, ma è ben contento che quello sia il giorno che riserva al suo circolo artisti così non dovrà necessariamente inventare qualche scusa per allontanarla.
Si sente come uno studente davanti alla commissione d’esame. Colette è arrivata portando con sé un delizioso profumo di gardenie. Si salutano frugando entrambi negli occhi dell’altro per carpire anche il minimo sentimento. Con un sorriso impacciato Giosuè l’invita ad accomodarsi.
«Da questa parte» le fa strada dentro il suo regno.
Era indeciso se farsi trovare in tenuta da lavoro o almeno per una volta senza colore sulle mani e qualche sbaffo sul viso. La seconda opzione ha vinto e così si era infilato una t-shirt bianca e un paio di jeans neri. Lei ha optato per un look identico solo che la sua t-shirt è a righe e i jeans blu. Sembra una marinaretta.
Dopo averle mostrato parecchi quadri, Colette insiste per vedere dal vivo quelle tele che la rappresentano. Giosuè un po’ si vergogna ma non può certo negarglielo.
«Le hai già viste, non sono cambiate» tenta di dissuaderla, ma lei insiste fino a quando gli tocca capitolare difronte a quegli occhi neri come la pece che lo pregano di acconsentire.
Appena gliele mostra lei rimane incantata, le guarda piegando il capo e cercando di cogliere ogni piccolo particolare fino a passare delicatamente le dita sulle tele. Si volta e lo fissa emozionata.
«Sono bellissime! Viste dal vivo lasciano senza fiato» commenta mentre il cuore di Giosuè fa mille capriole. La soddisfazione non è paragonabile a nessun altra. Neppure a quella che provò quando il secondo più grande critico d’arte si complimentò con lui durante la precedente mostra.
«Forse un giorno potrò posare per te e commissionarti un mio ritratto in modo che io possa poi esporlo nella mia casa. Non ti chiedo questi perché non saprei come giustificarli, ma farò di tutto per poter avere una tua opera da ammirare e far ammirare» gli dice prima di congedarsi.
«Giosuè» Matilde irrompe nell’atelier con in mano un libretto «è arrivato il catalogo!» prosegue eccitata «questa volta è davvero spettacolare, lo hanno già inviato a tutti gli invitati e messo a disposizione di molte gallerie». Gli comunica raggiante. A lui poco importa di guardare le sue opere su un opuscolo dove sembrano senza alcuna vita, si fida di quello che la madre gli dice e nonostante lei lo lasci sul tavolino prima di uscire, non lo degna di uno sguardo.
Manca davvero poco alla data della mostra: due giorni. Nel pomeriggio finalmente l’atelier verrà liberato dagli imballaggi che devono custodire le opere che verranno esposte nella galleria durante il trasporto. Si sente soffocare da quel caos, tanto che non riesce a passare neppure una pennellata sulla tela bianca che ha sistemato sul cavalletto.
«Ci devo rinunciare, mi sento mancare l’ispirazione» pensa prima di uscire. «Tornerò qui appena tutto sarà stato portato via».
Questa notte non riesce a riposare, si gira e rigira nel letto senza riuscire a prendere pace. Matilde lo ha avvisato che tutte le opere sono state consegnate e che domani passerà la giornata alla galleria insieme agli operai.
«Sarebbe carino che ci fossi anche tu mentre appendiamo i quadri, così puoi dare il tuo parere sulla disposizione». Quella non è una richiesta, ma un ordine e per quanto a lui queste incombenze non piacciano assolutamente, mandandolo in paranoia, gli è chiaro che nessuno meglio di lui può sistemare il suo lavoro in base ad una certa logica.
Giunti nei pressi della galleria, un fumo nero e acre si spande nell’aria ed entra nelle narici. Qualcosa sta andando a fuoco. Le sirene dei pompieri e della polizia rombano fischiando nei timpani.
«Cosa mai sarà accaduto?» si domanda Matilde, ma appena svoltato l’angolo l’angoscia e lo sgomento prendono possesso di madre e figlio. Il fumo nero e denso esce proprio dalla galleria d’arte, e la schiuma dei pompieri sta facendo del suo meglio per tenerlo a bada.
Mentre il cliente lo sta facendo attendere durante una chiamata a Fratti capita in mano il catalogo della mostra. Inizia a sfogliarlo e la sua attenzione viene catturata da uno dei dipinti che verranno esposti nella galleria.
Un ritratto di donna.
Quella donna lui la conosceva perfettamente.
Con quella donna lui è sposato da cinque anni.
Non ci sono dubbi, quella donna è la sua Colette.
«Lei ha posato per un pittore?» Pensa sconcertato.
Con nonchalance inserisce il catalogo nella sua ventiquattrore e fa un salto alla galleria cercando di prendere informazioni sulla mostra.
«Sì, la mostra si terrà il tredici di febbraio, proprio come riportato sul catalogo» gli spiega la ragazza. Cercando di celare il troppo interesse chiede come funzionava tutta l’organizzazione e così viene a sapere che i quadri saranno stati consegnati solo due giorni prima l’undici in modo che il dodici l’artista e la gallerista si potranno occupare della disposizione ottimale per ognuno di loro.
La notte tra l’undici e il dodici febbraio armato di liquido incendiario, Fratti si introduce nella galleria e fa in modo che quei quadri non possano mai essere ammirati da nessuno distruggendo la felicità di Matilde e Giosuè.
Fine
Eravamo in 26 partecipanti, questo mio è arrivato tra i primi 10. A voi è piaciuto? Vi leggo con piacere nei commenti.
Laura
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