Alcune settimane fa, ho partecipato ad una rubrica ideata da una scrittrice di nome Elena Piras presente su Instagram autrice di varie opere davvero da leggere.
Questa sua rubrica consisteva nel creare una breve storia partendo da un suo incipit e sviluppandola poi a nostro piacemento e raccontandola in quattro puntate.
Oggi abbiamo messo la parola “fine” a questa rubrica pubblicando la quarta puntata e ora, ho deciso di condividerla anche con voi per intero.
Spero che sia di vostro gradimento.
Il titolo di questo mio piccolo racconto è esattamente quello che leggete nel titolo di questo post:
Perchè proprio io?
di Laura Parise
“Ma cosa state dicendo? Lasciatemi!”
“Signorina lei ha rubato, dobbiamo portarla al commissariato di zona.”
“Non è vero!”
La ragazza si guardò intorno in cerca di aiuto ma la gente che la circondava la osservava come fosse una delinquente, i volti pieni di rammarico e di indignazione, come se fosse la peggiore delle criminali.
Ma loro non sapevano. Era molto più facile osservare l’evolversi della situazione piuttosto che farsi avanti e confermare la versione della ragazza. Qualcuno doveva necessariamente aver visto la scena ma, come poteva spiegare che lei, quel portafoglio lo aveva trovato dentro la sua borsetta mentre stava cercando il cellulare e d’istinto lo aveva rimesso dentro in modo alquanto fulmineo senza rendersi conto di essere osservata e che quel gesto avrebbe potuto trarre in inganno chiunque?
E in effetti, praticamente un secondo dopo che aveva compiuto quel gesto, delle urla avevano attratto l’attenzione dell’agente di sorveglianza che l’aveva immediatamente presa per un braccio bloccandola e intimandole di fermarsi.
L’uomo che continuava a sbraitare dall’altra estremità del negozio che lo avevano derubato e che additava lei come colpevole, le sembrava di averlo già visto da qualche parte, ma al momento la sua mente non era abbastanza lucida da ricordare dove.
“Se non hai rubato, come mai questo portafoglio si trova nella tua borsetta?” le chiese l’agente infilando le mani dentro l’apertura della borsa.
“Eccolo! È il mio portafoglio!” urlò ancora una volta quell’uomo mentre l’agente sventolava in aria l’oggetto incriminato.
“Io non l’ho rubato e non ho neppure idea di come ci sia finito dentro la mia borsa!” provò a spiegare, ma sembravano parole al vento perché l’agente la guardava con ghigno di scherno e scuoteva il capo.
“Non sarai per caso cleptomane?” la schernì.
“Non ho mai rubato niente in vita mia! Neppure una caramella!” protestò ancora una volta la sua innocenza. “Non ho alcun bisogno di rubare portafogli a chicchessia!”
“Su questo non ho alcun dubbio” le rispose l’agente osservandola da capo a piedi.
Tutti gli indumenti che indossava, compresi gioielli, scarpe e borsa erano decisamente molto costosi. Non poteva certo averli rubati tutti, di sicuro era una ragazza facoltosa che annoiata dalla solita vita cercava un po’ di adrenalina e invece di farsi di cocaina come tante che aveva conosciuto, lei andava per negozi a rubare portafogli.
“Le dico che non sono stata io a rubare questo portafoglio e a infilarmelo in borsa! Probabilmente qualcuno dei tanti clienti che affollano questo negozio e che ora mi stanno guardando come se fossi la peggiore dei criminali, ha commesso il furto, ma non ha avuto il coraggio di portare fuori la refurtiva e ha pensato bene di mettere me in mezzo”.
Risponse ritrovando la lucidità necessaria per rigettare quelle accuse mentre l’agente iniziava a sghignazzare.
“Ah, ah, ah! Adesso vorresti accusare qualcun altro al posto tuo? Certo che ne hai di fantasia!”
“Chi mi accusa? Quel tizio che urla come un ossesso? Siamo sicuri che il portafoglio sia davvero il suo?” ribatté ancora una volta.
“Senta lei, venga qui.” Disse rivolto all’uomo. “Mi dica cosa contiene questo portafoglio prima che io lo apra, così chiariremo immediatamente se le appartiene. A quanto pare qui, la nostra Perry Mason in gonnella sostiene il contrario”.
La folla che si era radunata era piuttosto consistente, sembravano tutti interessati alla scena e non si preoccupavano affatto di quello che stava accadendo nel resto del negozio.
L’uomo, guardando la ragazza con sdegno si avvicinò al gruppo e iniziò ad elencare cosa era contenuto nel portafoglio.
Dallo sguardo che l’agente gli rivolgeva ad ogni oggetto elencato era facile intuire che qualcosa non quadrava.
«Mi ripeta il suo nome prego?” chiese l’agente rivolto all’uomo.
“Bernardo Giovine” rispose prontamente. L’agente scosse il capo.
“Ne è proprio sicuro?”
“Agente!” esclamò il tizio “vuole che non sappia come mi chiamo?”
“E quindi mi conferma che questo è il suo portafoglio?” chiese ancora l’agente sventolandoglielo sotto il naso. L’uomo rivolse all’oggetto tutta la sua attenzione strizzando gli occhi prima di rispondere.
“Sembra proprio il mio. Sì!”
“Ma ne è sicuro al cento per cento?” chiese ancora l’agente con tono sempre più scettico.
“Cosa vuole che le dica? Sembra proprio il mio!” disse tastandosi le tasche e cambiando immediatamente espressione.
Il volto dell’uomo iniziò a colorirsi di rosso, le guance e il naso avevano preso fuoco mentre con gli occhi si guardava intorno alla ricerca di una via d’uscita. Tutto questo non sfuggì all’agente
“Cosa le prende?” chiese in modo burbero.
“Ec… ecco” iniziò a balbettare il tizio “credo… credo…”
“Cosa crede?” gli urlò in faccia l’agente. All’uomo non rimase altro che infilare la mano nella giacca e tirar fuori il suo portafoglio.
“Mi… mi… scusi tanto agente! Devo aver riposto il portafoglio nella tasca sbagliata della giacca” rispose sempre più paonazzo e mostrando il “corpo del reato” alla folla che cominciò a bisbigliare.
L’agente sempre più furioso strattonò l’uomo per il braccio.
“E così questo sarebbe il suo portafoglio?” Gli chiese in tono di scherno “non deve scusarsi con me, semmai con la signorina” proseguì. Liala scosse il capo prima di intervenire.
“Ha visto agente? Gliel’avevo detto che non avevo rubato nulla!” disse incrociando le braccia sul petto e battendo un piede per terra nervosamente.
“Signorina!” iniziò Giovine con voce contrita “Mi dispiace davvero tanto!” le disse mentre lei gli lanciò un’occhiata di fuoco.
“La prossima volta che grida al lupo al lupo, si assicuri che il lupo ci sia veramente!” rispose lei suscitando l’ilarità della folla che prima l’aveva giudicata colpevole senza minimamente preoccuparsi se lo fosse realmente.
“Quanto a voi, gentile pubblico, prima di ruggire contro un leone, assicuratevi di non essere pecore!” proseguì la ragazza.
Alcune persone si dileguarono all’istante, mentre altre continuarono a voler assistere alla scena. L’agente, togliendosi il berretto e lisciandosi i radi capelli iniziò a porgere le sue scuse nei confronti di Liala.
“Mi spiace per l’inconveniente signorina” le disse mentre lei porgeva la mano aperta con il palmo rivolto all’insù verso l’agente. Voleva che le restituisse il portafoglio.
“Agente, lei prima di processare una persona, si accerti di aver acciuffato il vero colpevole”.
Contrito l’agente annuì e le porse il portafoglio che lei gli strappò di mano e cacciò nuovamente dentro la borsa. Girò sui tacchi e fece il gesto di allontanarsi.
L’agente notando il gesto mise a grattarsi il capo prima di rivolgerle ancora la parola.
“Signorina!” la bloccò. Liala con lentezza alzò il capo in direzione dell’uomo pronta ad attaccarlo ancora.
“Cos’altro vuole?” gli chiese seccata.
“Perché ha rimesso il portafoglio in borsa se prima mi ha detto che non aveva neppure la minima idea di come ci fosse finito?”
Liala non si fece cogliere impreparata.
“Senta, che io non abbia avuto la più pallida idea di come ci fosse finito, non vuol dire che io lo abbia sottratto a qualcuno” rispose altezzosa “quel portafoglio potrebbe benissimo essere di un mio amico o del mio ragazzo. Non ho avuto modo di controllarlo ma, vede agente, io frequento molte persone, spesso stiamo in comitiva, potrebbero benissimo averlo messo dentro la mia borsa per sbaglio, quando constaterò a chi appartiene, sarà mia premura restituirglielo” terminò facendo una smorfia e voltandosi nuovamente verso l’uscita lasciando l’uomo con il suo dubbio.
Una volta fuori si concesse il lusso di riprendere a respirare normalmente. Tutto quello che aveva appena detto era esclusivo frutto della sua fantasia.
Erano due anni che non aveva un ragazzo e, amici e comitiva erano per lei solo un sogno.
La verità era che suo padre, da quando Estelle, sua madre, l’aveva lasciato, continuava a tenerla lontano da tutti, non le permetteva di frequentare altri ragazzi della sua età, tanto meno di avere l’opportunità di fare conoscenze. Era sempre scortata da Diego in qualsiasi luogo si recasse, e la prestanza dell’uomo mista alla sua aura da duro, tenevano tutti lontano. La paura di Don Mario era che anche Liala, stanca di dover sopportare i suoi malumori quotidiani, se ne andasse.
Quando l’agente l’aveva fermata, il primo pensiero era corso al suo anziano padre. Credeva che Diego lo avesse già informato del fatto che era riuscita a sfuggire alle sue attenzioni ma forse, il luogotenente di Don Mario, prima di ricevere una lavata di capo dal suo principale era da qualche parte che la stava cercando.
Non era intenzionata a fuggire, dove avrebbe potuto andare senza avere qualcuno che l’ospitasse? Poteva avere a disposizione tanti soldi ma, erano soldi di suo padre e se lei avesse usato la carta di credito in pochi istanti l’avrebbe rintracciata.
Voleva solo godersi una giornata tranquilla per le vie della città senza avere sempre il fiato sul collo. Attraversare una via senza prima dover avvisare, entrare in un negozio senza che Diego sostasse sulla porta per controllare chi entrava e chi usciva.
La sua era una bravata, ne era ben consapevole ma, dopo aver visto quell’uomo aveva deciso che doveva conoscerlo a tutti i costi e quale occasione migliore le si poteva presentare se non la sbadataggine del tizio che non si era accorto di aver perso il portafogli quando si era alzato dal tavolino del bar dove aveva consumato un’abbondante colazione sotto lo sguardo vigile di Liala?
Così aveva architettato quel piano. Uscire di soppiatto la mattina molto presto, recarsi a far colazione nello stesso bar del giorno precedente con la speranza che l’uomo si facesse vivo e avvicinarsi a lui porgendogli quanto aveva perso il giorno prima.
Aveva passato la serata e anche la notte a digitare sul computer il nome e il cognome di Eros ma non era riuscita a rintracciarlo in nessun social. Quell’uomo dall’aspetto intrigante, gli occhi neri come il carbone, il mento volitivo e i capelli cortissimi non erano presenti da nessuna parte e lei si era dovuta accontentare di continuare a guardare la foto della sua patente e quella di un abbonamento ad un fitness center fantasticando su di lui e sull’incontro che avrebbe potuto cambiarle la sua monotona vita.
Non aveva funzionato, Eros non si era presentato. Era rimasta ad aspettare nel bar per ben due ore, ma di lui neppure l’ombra.
Avrebbe potuto chiedere al barista, mostrargli il portafoglio e dire che lo aveva trovato, ma questo avrebbe dovuto farlo il giorno prima.
Così aveva deciso di andare in palestra con la scusa di voler fare l’abbonamento; era certa che le avrebbero permesso di entrare almeno la prima volta senza essere iscritta.
Nel caso le facessero storie, aveva anche preparato un discorsetto, ma prima di tutto doveva andare a comprare un completino da ginnastica. Per questo motivo si era trovata in quel negozio dove le avevano solo fatto perdere un sacco di tempo prezioso.
Una volta dentro alla palestra, nel caso lui fosse stato presente, avrebbe dovuto escogitare il modo per restituirgli il portafoglio senza spiegargli dove lo aveva trovato.
Mentre nel camerino si provava il nuovo completino, aveva pensato anche a questo: gli avrebbe detto che aprendolo aveva scoperto che frequentavano la stessa palestra e così aveva pensato di portarglielo lì e se non l’avesse incontrato di lasciarlo alla reception.
Guardandosi intorno alla ricerca di un taxi iniziò a camminare nella direzione della palestra, non poteva permettersi di perdere altro tempo anche se non era affatto sicura che Eros si sarebbe recato lì quella mattina. Stava tentando la sorte e sperava che almeno una volta nella sua vita fosse dalla sua parte.
Aveva il suo indirizzo di casa, questo sì, ma lo teneva come ultimissima risorsa.
«Buongiorno, come posso aiutarti?» le chiese la ragazza seduta al bancone.
«Ciao, ho sentito parlare molto bene della vostra palestra e vorrei, se possibile, fare una prova prima di iscrivermi»
«Certo. Dammi nome e cognome» disse la ragazza che, si apprestò a vergarli su di un tesserino che le porse dicendole «Prendi questo pass, e accomodati pure da quella parte» terminò indicandole la porta degli spogliatoi.
Adesso doveva solo attendere facendo finta di fare ginnastica, con la speranza che Eros si presentasse.
Dopo due ore di sudata inutile, decise di abbandonare anche quella opzione. Non le restava altro che recarsi a casa di Eros. Ormai era ora di pranzo.
«Allora? Cosa ne dici della nostra palestra? Ti ha convinto?» le chiese la ragazza da dietro il bancone quando la vide uscire.
«Oh, è davvero un posto spettacolare, siete attrezzatissimi, non c’è dubbio!» La ragazza le regalò un enorme sorriso compiaciuto.
«Allora sarai dei nostri!» affermò convinta.
«Perché no? Ripasso in settimana per confermare l’iscrizione» disse avviandosi velocemente verso l’uscita prima che la ragazza potesse ancora aprir bocca.
Davanti al portone dell’edificio dove abitava Eros c’era di guardia un portiere con tanto di divisa in perfette condizioni. “Sembra uno di quelli che sostano davanti alla villa di mio padre” pensò Liala guardandolo. Di certo non avrebbe potuto entrare senza essere vista.
«Signorina, desidera?» le chiese, infatti, l’uomo che la squadrò da testa a piedi.
«Ho appuntamento con il signor Eros Frassinelli» disse assumendo un tono e un atteggiamento altezzoso.
«Prego si accomodi, il signorino Eros abita al secondo piano» rispose l’uomo.
Prima che potesse aggiungere altro, Liala entrò dentro l’androne e si diresse verso la scalinata di marmo. Si trattava di un antico palazzo, forse un tempo appartenuto ad una importante famiglia, o addirittura alla famiglia di Eros, perché da come aveva risposto il portiere e dallo sfarzo che poteva osservare, di certo non si trattava di gente comune.
Suonò il campanello e pochi istanti dopo una donna in uniforme comparve alla porta.
«Prego, si accomodi, il signorino Eros la sta aspettando» le disse facendosi da parte per farla entrare.
“Cavolo! Il portiere è stato davvero celere” pensò tra sé Liala.
La donna le fece strada verso una porta chiusa, l’aprì e introdusse la sua visita
«La signorina Liala è arrivata» disse. Le fece cenno di entrare e richiuse la porta mentre Liala restava di stucco. La bocca aperta e gli occhi spalancati.
Davanti a lei sedevano Eros e suo padre con tanto di tazzine di caffè poggiate sul tavolino di fronte a loro.
«Ben arrivata Liala» andandole incontro disse Eros con voce gentile ma allo stesso tempo profonda. Le porse la mano e le indicò una poltrona dove potersi accomodare.
Liala continuava a restare in silenzio, troppo grande era lo stupore provato nel trovare il genitore in compagnia di Eros.
«Figliola, ci stavamo giusto chiedendo quanto tempo avresti impiegato ancora per arrivare» le disse il padre.
«Sono felice di constatare che nonostante tutto, tu sia riuscita a districarti da quella situazione imbarazzante che hai dovuto sopportare nel negozio di abbigliamento. E, devo dire che, hai fatto davvero bene a fare un po’ di ginnastica. Te lo dico sempre che fa bene al fisico ma anche alla mente» proseguì l’uomo lasciandola ancor più di stucco. Credeva di esser sfuggita al controllo genitoriale invece tutto era stato orchestrato a doc.
«Bene» disse Don Mario «è giunto il momento che io mi ritiri a casa. Ragazzi, vi auguro un piacevole pranzo e un altrettanto piacevole pomeriggio. Sono proprio orgoglioso di te figlia mia!» le disse dandole una carezza sul viso e recandosi verso la porta solo dopo aver stretto la mano di Eros. Una volta chiusa la porta, Liala ritrovò l’uso della parola.
«Mi avete teso una trappola!» Urlò verso Eros alzandosi dalla poltrona.
«Liala, perdonami. È tutta colpa mia, ti ho vista in compagnia di Diego più volte nei mesi passati, volevo avvicinarmi ma, temevo di non essere gradito, così ho preso qualche informazione e, una volta ho scoperto il tuo nome e il fatto che tu fossi la figlia del miglior amico di mio padre, ha fatto sì che potessi incontrarmi con lui e farmi conoscere. Sapevo bene che tuo padre desiderava per te un compagno alla tua altezza e di cui fidarsi ma, non voleva essere lui a presentarti a me per paura che tu mi rifiutassi di proposito giusto per dispetto, così ho architettato questo piccolo imbroglio per capire se tu, ti saresti recata da me di tua iniziativa» le confessò con la speranza che Liala lo perdonasse. Liala era ancora una volta senza parole.
«Posso solo dirti che sono felicissimo di averti qui e di avere occasione di conoscerti e di farmi conoscere» terminò in attesa che Liala dicesse qualcosa.
Liala prese un lungo e profondo respiro prima di sciogliersi in un sorriso.
«Certo che sei davvero un grande stronzone!» gli rispose ridendo «ma visto che sono qui, tanto vale fare la reciproca conoscenza» proseguì mentre vide che Eros sciolse le spalle che aveva tenute contratte per tutto il suo lungo discorso di scuse.
«Piacere, io sono Eros e sarei felice di averti qui a pranzo con me» disse l’uomo porgendole la mano.
«Il piacere è tutto mio. Sono affamata!»
Fine